Buddismo Indice Generale

 

Satipatthana Sutta
 

Questo ho sentito.  Una volta il Sublime soggiornava nella terra dei Kurû, presso la città dei Kurûni detta Kammâsadamman (1). 

Là il Sublime si rivolse ai monaci:

<<< La diritta via, monaci, che conduce alla purificazione degli esseri, al superamento del dolore e della miseria, alla distruzione della sofferenza e della pena, al conseguimento di ciò che è giusto, alla realizzazione dell’estinzione, è data dai quattro pilastri del sapere. 

Ecco che un monaco vigila presso il corpo sul corpo, instancabile, con chiara mente, sapiente, dopo aver superato le brame e le cure del mondo; allo stesso modo vigila presso le sensazioni sulle sensazioni; presso l’animo sull’animo; presso i fenomeni sui fenomeni. 

E come lo fa?  Un monaco si reca all’interno della foresta, o sotto un grande albero, o in un vuoto eremo, si siede con le gambe incrociate, il corpo diritto, e si esercita nel sapere. 

Cosciente egli inspira, cosciente espira.  Se inspira profondamente egli lo sa; se inspira brevemente, egli ne è consapevole.  “Voglio inspirare sentendo tutto il corpo”, “Voglio espirare sentendo tutto il corpo”, “Voglio inspirare calmando questa combinazione corporea”, “Voglio espirare calmando questa combinazione corporea”; così egli si esercita.

Così come un abile tornitore o garzone tornitore tirando fortemente sa “Io tiro fortemente”, tirando lentamente sa “Io tiro lentamente”: così accade al monaco allorché inspira ed espira.

Così egli vigila presso il corpo interno sul corpo, presso il corpo esterno sul corpo, di dentro e di fuori egli vigila presso il corpo sul corpo.  Egli osserva come il corpo si forma, come esso trapassa.  “Ecco com’è il corpo”: tale sapere diviene il suo sostegno perché esso serve alla comprensione, alla riflessione; ed egli vive indipendente e non desidera nulla dal mondo.

E ancora: il monaco, quando cammina, sa che lo sta facendo; lo stesso quando è fermo; così pure quando è seduto e quando giace; egli sa in quale posizione si trova, qualsiasi essa sia.

E ancora: il monaco è chiaramente consapevole nel venire e nell’andare; nel guardare e nel distogliere lo sguardo; nel chinarsi e nel sollevarsi; nel portare l’abito e la scodella dell’elemosina; nel mangiare e nel bere; nel masticare e gustare; nel liberarsi dalle feci e dall’urina; nel camminare o nello stare seduto; nell’addormentarsi e nel risvegliarsi, nel parlare e nel tacere.

E inoltre: il monaco esamina questo corpo dalla cima della testa alle piante dei piedi, la pelle che lo ricopre e come esso è ripieno di varie impurità: “Questo corpo ha capelli, peli, ha unghie e denti, pelle e carne, tendini, ossa e midollo, reni, cuore e fegato, diaframma, milza, polmoni, stomaco, intestini, mucose e feci, ha bile, secrezioni, marciume, sangue, sudore, linfa, lacrime, siero, saliva, muco, liquido articolare, urina”.

Così come se vi fosse un sacco legato ai due capi, pieno di diversi cereali: riso, fave, sesamo; e un uomo competente lo slegasse e ne esaminasse il contenuto: “Questo è riso, queste sono fave, questo è sesamo”: allo stesso modo appunto un monaco esamina questo corpo in tutti i particolari.

E ancora: il monaco esamina questo corpo, sia che vada o che stia, specificando: “Questo corpo ha la specie ‘terra’, ha la specie ‘acqua’, la specie ‘fuoco’ e la specie ‘aria’.

Così come se un abile macellaio o un garzone macellaio, avendo macellata una vacca, la porta al mercato, la seziona pezzo per pezzo, ne espone le varie parti, le conosce, le osserva, le esamina bene e quindi si siede (2): proprio così un monaco considera questo corpo.

E inoltre ancora, monaci: come se il monaco avendo visto un corpo che giace al cimitero, un giorno, due o tre giorni dopo la morte, gonfio, illividito, divenuto putrefatto, concludesse: “Anche il mio corpo è fatto così, diventerà così, non può sfuggire a ciò”. 

E ancora: come se il monaco avendo visto al cimitero un corpo straziato da cornacchie, corvi o avvoltoi, sbranato da cani e sciacalli, roso da molte specie di vermi, concludesse: “Tutto ciò può accadere anche a me”. 

E inoltre: come se il monaco avendo visto al cimitero uno scheletro con brani di carne, sporco di sangue, tenuto assieme dai tendini; o più tardi, uno scheletro privo di carne, sporco di sangue, tenuto assieme dai tendini; e più tardi ancora le ossa, senza i tendini, sparse qua e là; qua un osso della mano, là un osso del piede, una tibia, un femore, il bacino, delle vertebre, il cranio, concludesse: “Anche il mio corpo è fatto così, diventerà così, non può sfuggire a ciò”. 

E ancora: come se il monaco avendo visto le ossa, sbiancate come conchiglie, le ossa sfatte, ammucchiate dopo che è trascorso un anno; le ossa corrotte, divenute polvere, concludesse: “Tutto ciò accadrà anche a me”.

Così egli vigila sul corpo interno, vigila sul corpo esterno, vigila sul corpo interno ed esterno.

Ma come vigila un monaco sulle sensazioni?  Un monaco, quando prova una sensazione piacevole, ne è consapevole; lo stesso quando prova una sensazione dolorosa o una sensazione né piacevole né dolorosa. 

Quando prova una sensazione piacevole mondana, se ne rende conto, e altrettanto quando si tratta di una sensazione piacevole trascendente, di una sensazione dolorosa mondana o trascendente, di una sensazione neutra mondana o trascendente.

Così egli vigila sulle sensazioni, osserva come la sensazione si forma, come passa, e come si forma e passa.  “Ecco cos’è la sensazione”: tale sapere diviene il suo sostegno perché gli serve per conoscere, per riflettere; ed egli vive indipendente e senza brama del mondo.

Ma come vigila un monaco presso l’animo e sull’animo?  Un monaco conosce l’animo bramoso e l’animo non bramoso, quello astioso e quello non astioso, l’animo che erra e quello senza errore, quello raccolto e quello che non lo è, l’animo distratto, l’animo tendente all’alto sentire e quello tendente al basso sentire, l’animo nobile, quello volgare, l’animo tranquillo, quello inquieto, l’animo redento e l’animo vincolato; e di tutti si rende conto.  Egli osserva come l’animo si forma, come trapassa, come si forma e trapassa.  “Ecco com’è l’animo”: tale sapere diviene il suo sostegno perché esso serve alla conoscenza, alla riflessione; ed egli vive indipendente e senza brama del mondo.

Ma come vigila un monaco presso i fenomeni sui fenomeni?  Un monaco osserva sui fenomeni il manifestarsi dei cinque ostacoli (nîvarana): osserva quando la brama (kâmacchanda) è in lui e quando non lo è; osserva quando in lui vi è avversione (vyâpâda); quando vi è accidia (thîna-middha); quando vi è superbia (o agitazione-ansia =uddhacca-kukkucca); quando vi è dubbio (vicikicchâ), e quando essi non vi sono. 

E per ognuno dei cinque ostacoli osserva come comincia a svilupparsi; osserva come quando divenuto evidente viene rinnegato, e osserva quando gli ostacoli, rinnegati, non compaiono più nell’avvenire.  “Ecco i fenomeni”: tale sapere diviene il suo sostegno perché esso serve alla conoscenza, alla riflessione; ed egli vive indipendente e senza brama del mondo.

Ma come vigila un monaco presso i fenomeni sul manifestarsi dei cinque tronchi dell’attaccamento?  Un monaco dice a se stesso: “Così è la forma (rûpa), così è la sensazione (vedanâ), così è la percezione (saññâ), così sono le distinzioni (sankhâra), così è la coscienza (viññâna) ; così esse hanno origine, così esse si dissolvono.

E inoltre il monaco vigila presso i fenomeni sul manifestarsi dei sei regni interni-esterni (sal-âyatana).  Come?   Un monaco conosce l’occhio e conosce le forme; conosce l’orecchio e conosce i suoni; conosce il naso e conosce gli odori; conosce la lingua e conosce i sapori; conosce il corpo e conosce i contatti; conosce il pensiero e conosce le idee.  Conosce come essi si combinano e cosa ne risulta; conosce quando la combinazione avviene, quando essa cessa, e quando la cessata combinazione non si verifica più nell’avvenire.

E inoltre il monaco vigila presso i fenomeni sul manifestarsi dei sette fattori di risveglio (sambojjhanga).  Come?  Un monaco s’accorge quando sono in lui la consapevolezza (sati), il raccoglimento (l’esame dei fenomeni = dhammavicaya), la forza (viriya), la serenità gioiosa (pîti), la calma (passaddhi), la concentrazione (samâdhi), l’equanimità (upekkhâ).  Conosce quando i sette fattori di risveglio si destano, quando divenuti desti si sciolgono.

E inoltre ancora un monaco vigila presso i fenomeni sul manifestarsi delle quattro nobili verità.  Come?  Un monaco comprende secondo verità “Questo è il dolore”, “Questa è l’origine del dolore”, “Questo è l’annientamento del dolore”, “Questa è la via che conduce all’annientamento del dolore”.

Chi, monaci, sa così sostenere questi quattro pilastri del sapere può aspettarsi queste due possibilità: sicurezza durante la vita o non ritorno dopo la morte.  Lasciamo stare i sette anni: chi, monaci, sa così sostenere questi quattro pilastri del sapere per sei anni, cinque, quattro, tre, due, un solo anno;  lasciamo stare l’anno: chi, monaci, per sette mesi sa così sostenere questi quattro pilastri del sapere può aspettarsi queste due possibilità: sicurezza durante la vita o non ritorno dopo la morte.  Ma lasciamo stare i sette mesi: chi, monaci, per sei mesi, cinque, quattro, tre, due, un mese, per un mezzo mese sa così sostenere questi quattro pilastri del sapere… lasciamo stare persino il mezzo mese: chi, monaci, per sette giorni sa così sostenere questi quattro pilastri del sapere può aspettarsi queste due possibilità: sicurezza durante la vita o non ritorno dopo la morte.

“La diritta via che conduce alla purificazione degli esseri, al superamento del dolore e della miseria, alla distruzione della sofferenza e della pena, al conseguimento di ciò che è giusto, alla realizzazione dell’estinzione, è data dai quattro pilastri del sapere”: se questo è stato detto lo è stato di proposito. >>>

Così parlò il Sublime.  Contenti si rallegrarono quei monaci della parola del Sublime.

 Note

(1) Forse sepolta sotto l'attuale Kamasin, nella piana Kurukshetram della Jamna (o Yamunâ), ad occidente di Allâhâbâd.

(2) Dato che, in India, da più di 2000 anni l'uccisione di una vacca è considerato un orribile delitto, risulta che la redazione di questo testo dev'essere anteriore di alcuni secoli ad Ashoka e risalire ai tempi in cui il macello di vacche per la pubblica vendita era accettato come normale. Pur considerando l'orrore che questa descrizione, considerata come un resto barbarico dell'antichità, poteva suscitare, essa fu conservata e tramandata intatta. Ciò prova la straordinaria venerazione per le parole del Maestro e lo scrupolo con cui le Sue parole furono tramandate.