Cos’è un koan? Questa stessa domanda
è un koan, perché un koan non può ricevere una risposta o essere
compreso dall’intelletto. Il commento di Mumonkan, “Invano lo
descrivi, senza profitto lo ritrai”, è applicabile al koan.
Tuttavia, la gente continua a chiedere: “Cos’è un koan?”. È
un’espressione diretta della nostra mente autentica e quindi un
mezzo per risvegliarsi? Oppure, come ha detto qualcuno, è una
forma dualistica di pratica, un gioco zen?
Cominciamo a osservare alcuni degli
aspetti essenziali del koan, e diamo una risposta a qualcuna delle
critiche rivolte a questa pratica.
Un koan è, letteralmente, la
trascrizione di un “caso pubblico” avvenuto nel passato; oppure,
come ha detto un maestro zen, “il luogo dove si trova la verità”.
Generalmente parlando, i koan sono
tratti da dialoghi autentici tra maestri zen e studenti, o tra
praticanti avanzati, oppure dai sutra o da antichi detti. La
maggior parte delle volte, i koan sono di natura paradossale e non
possono venire compresi dall’intelletto. Quindi, un koan può
venire inteso solo grazie all’esperienza diretta della mente
autentica, da cui è nato.
I detti e i dialoghi che si
trasformarono in koan sono raccolti in vari testi, come il
Mumonkan e la Raccolta
della roccia blu. Essi furono, e sono tuttora, utilizzati
come manuali per l’istruzione zen.
I koan possono essere divisi
fondamentalmente in due categorie: quella “primaria” o koan “del
risveglio”, e quella dei koan “successivi”.
Esempi di koan “del risveglio”
potrebbero essere: “Mu”, “Chi sono io?”, “Cos’è la mente?” e “Qual
è il suono di una mano sola?”. Il ruolo del koan “del risveglio” è
dare uno scossone, o irrompere nella consapevolezza dualistica e
concettuale, basata su un falso senso dell’io-ego. In tal modo, la
mente si apre alla verità fondamentale dell’universo, senza inizio
né fine; ovvero, ci si risveglia alla propria natura suprema.
I koan “successivi” vengono
utilizzati per perfezionare la propria comprensione spirituale,
per liberarsi dai persistenti legami dell’illusione e integrare il
risveglio nella propria vita quotidiana.
Qual è il potere speciale di questa
singolare pratica spirituale che nei secoli ha attratto tante
persone? In realtà, non è niente di speciale, magico o segreto, né
è necessaria qualche tecnica per sviluppare la forza della
concentrazione o poteri psichici. Un koan è un modo diretto per
far sì che la nostra mente, naturalmente dubbiosa, superi la
barriera dell’illusione e si risvegli alla nostra natura
autentica.
Sin dalla più
tenera età tutti poniamo domande. Man mano che i bambini crescono,
le loro domande ricevono spesso risposte, spiegazioni e
razionalizzazioni, fino a quando la loro naturale curiosità
comincia a svanire.
Tuttavia, le
persone sensibili, prima o poi, si ritrovano a porsi le stesse
domande: “Da dove vengo? Qual è il significato della vita? Cosa
accade quando muoio? Perché esistono tanto odio e violenza? Chi
sono io?”.
Questa mente dubbiosa è presente
nella mente di tutte le persone spiritualmente sensibili, e
certamente nella vita dei grandi maestri di ogni tradizione. Ma,
come dolorosamente vediamo nella nostra vita e in quella delle
persone che amiamo, la gente spesso ignora, reprime o evita queste
domande; le nasconde sotto ogni sorta di divertimento o piacere, e
dà loro una risposta basata sulla paura o l’ignoranza. Ma per
alcune persone queste domande e il bisogno profondo di conoscenza
continuano a riemergere. Per tali persone, non esiste fuga né
riposo; il grande dilemma va risolto.
Questa urgenza e questi dubbi sono
spesso provocati da una crisi personale. Talvolta, ciò conduce a
un koan naturale come “Chi sono io?” o “Qual è il significato
dell’esistenza?”. Per il praticante zen, ciò potrebbe portare
all’adozione di un koan formale. Allora, a prescindere dalla
strada percorsa per arrivare al koan, quest’ultimo si trasforma in
un modo efficace di indirizzare i nostri interrogativi naturali
verso un livello spirituale. Tutte le domande più profonde e i
desideri di liberazione vengono focalizzati sul koan.
I critici hanno obiettato che l’uso
di un koan formale implica la sostituzione del proprio
interrogativo/problema con l’interrogativo/problema di un altro.
Tuttavia, non è forse vero che tutti gli esseri umani condividono
la stesse domande fondamentali sull’esistenza? Nonostante le ovvie
differenze di epoca e cultura, non abbiamo tutti gli stessi
problemi fondamentali dei nostri antenati? Se non ci limitiamo a
guardare i rami, non è forse vero che le speranze, le paure, le
gioie e i dolori delle persone sorgono dalla stessa radice, dalla
stessa ruota karmica di causa ed effetto così eloquentemente
descritta da Shakyamuni nel Parco dei Cervi? Allo stesso modo,
l’affermazione di Carl Gustav Jung secondo cui egli non ebbe mai,
in quaranta anni, un paziente la cui vera preoccupazione non fosse
la morte, non riguarda forse noi tutti? Non abbiamo sempre
condiviso tutti la stessa ricerca?
Se la morte e la nascita sono il
dilemma fondamentale dell’uomo, cosa facciamo? Nella formazione
zen, il koan può diventare un mezzo per mettere a fuoco i propri
interrogativi e i corrispondenti dubbi; si trasforma in un
espediente per vedere attraverso la mente fittizia della dualità,
creatrice e perpetuatrice di una vita di dolore, ansia e
sofferenza. Senza il punto focale del koan, ci si sente spesso
incerti, divisi e soli.
Non occorre provocare un senso del
dubbio artificiale o generico quando si lavora su un koan. Guarda!
Il dubbio c’è già. Come ha osservato Dogen Zenji: “L’impermanenza
e il dolore stanno proprio di fronte ai nostri occhi”. E se guardi
senza porti domande, questo stesso atteggiamento non ti suscita
degli interrogativi?
Chi non prova una stretta allo
stomaco alla vista dei senzatetto al freddo, dei bambini
violentati, delle vite rovinate dalla droga e delle persone che si
uccidono tra loro in guerre senza senso? Non sono proprio queste
cose a condurre la gente verso la pratica zen? E non per fuggire o
riuscire a sopportarle, ma per sviluppare quell’intelligenza e
quella forza che possono rivelarsi di grande aiuto.
Alcuni studiosi asseriscono che nei
primi tempi molte persone sceglievano la pratica del koan per
imparare ad affrontare le sofferenze della propria vita. Il koan
offre l’opportunità di una solida pratica, non solo mentre si sta
seduti in zazen, ma anche in mezzo al tumulto della vita. Esso
fornisce i mezzi concreti per spezzare il legame della sofferenza
in tempi di conflitto e incertezza.
Con uno sforzo intenso, il koan “del
risveglio” è in grado di portare gli interrogativi naturali di una
persona al di là del pensiero e della percezione, oltre il
relativo e l’assoluto, risvegliando l’individuo a ciò che è sempre
esistito ma è stato oscurato dalle nubi dell’illusione. Tale
risveglio è simile al ricordo di qualcosa che è sempre stato
conosciuto, e tuttavia era dimenticato. È paragonabile
all’accensione di una luce in una stanza oscura. La stanza è
sempre stata la stessa, solo che le persone vagavano a tentoni nel
buio, incapaci di vivere là dentro.
Se cerchi di studiare il buddismo,
non è buddismo autentico. Lo stesso vale per la pratica del koan.
Non si tratta di uno studio nel senso convenzionale del termine.
La pratica del koan è fermamente radicata nello zazen, in quanto è
solo entrando in quella Mente Unica da cui provengono i koan che è
possibile andare davvero al fondo di questi ultimi.
Il koan non può essere compreso
dall’intelletto tramite lo studio e la speculazione. Ecco perché
si dice: “Il Buddha non ha teorie”. Bisogna sperimentare
direttamente la verità da cui sorgono questi koan, e non
soffermarsi semplicemente sulle teorie e le idee.
La gente chiede come usare un koan.
Non esiste un modo di lavorare con un koan. Come recita un antico
verso: “Una via verso il risveglio, nemmeno mille maestri sono in
grado di indicarla”. Tuttavia, poiché lavorare con un koan è una
pratica intensa, è meglio lavorare insieme a un insegnante. È
utile avere l’assistenza di una persona che ha già attraversato i
koan. Un buon insegnante mette continuamente alla prova uno
studente, sollecitandolo sempre a lavorare per risolvere “il
grande dilemma”. Senza un insegnante, è facilissimo confondersi,
perdersi, ritrovarsi in stati mentali negativi o illudersi di aver
realizzato qualcosa. Sebbene un insegnante sia importante, lui/lei
non può risolvere il koan o svolgere il lavoro al posto dello
studente.
Un’altra critica rivolta alla
pratica del koan è che è finalizzata a un risultato, e quindi si
muove nel livello karmico della perdita e del guadagno. Tuttavia,
è sempre possibile svolgere una pratica con un determinato scopo,
compreso quello, per esempio, di sedersi con una mente chiara e
senza scopi. Nella pratica del koan, in realtà, non esiste nulla
da raggiungere o guadagnare. Il modo migliore di lavorare sul koan
è lasciare che esso lavori su di te, perché, in ultima analisi,
questo è tutto ciò che i koan devono fare.
Quando si finisce un primo koan e si
comincia a lavorare su quelli “successivi”, può nascere la fallace
sensazione di aver raggiunto qualcosa. Ciò può condurre
all’orgoglio spirituale e trasformarsi in un autentico ostacolo
alla pratica. Gli insegnanti devono costantemente mostrare agli
studenti la possessività della loro mente. Ciò può essere svolto
efficacemente dai koan stessi, molti dei quali ci rivelano che,
anche se pensiamo di stare ottenendo qualcosa, in realtà non c’è
nulla da raggiungere. Compito degli insegnanti è anche rendere i
koan “successivi” adeguati ai tempi moderni, riportando infine gli
studenti alla continua pratica della vita al di là dei koan
formali.
Un aspetto importante
dell’istruzione del koan è che uno studente deve costantemente
recarsi dall’insegnante per una dokusan
(intervista, un processo che in sé è una buona istruzione). Nella
pratica del koan del risveglio, gli studenti devono dimostrare la
verità del koan e non possono limitarsi a esporre teorie o idee.
Essi vedono le proprie false nozioni nello specchio che
l’insegnante regge davanti a loro, oppure a queste stesse
illusioni vengono tagliate le gambe. Nella pratica del koan
“successivo” esiste un processo costante di rifinitura, in quanto
ci sono sempre nuove cose da “non fare”, e tuttavia da non
lasciare incompiute.
Piuttosto che l’acquisizione di
un’esperienza, la pratica del koan implica la perdita di false
nozioni. Il bisogno di proseguire si rivela in continuazione.
Harada Diun Roshi lo ha descritto come “Camminare lungo una strada
verso l’infinito”.
Certuni sostengono che lo zazen puro
sia semplicemente stare seduti senza avere nulla in mente, e che
la pratica del koan richieda di mettere artificialmente qualcosa
dentro la mente. Cos’è questa cosa che secondo la gente viene
posta nella mente con la pratica del koan? È solo quando una
persona comincia ad analizzare che fa un passo indietro e vede le
cose. Se consideri il koan “Mu” come una cosa, allora è fuori di
te. Mu non è una cosa o un oggetto, perché è impossibile
definirlo.
Cosa accade quando diventi il koan,
senza alcuna separazione? Ovvero, quando muori al koan? In quel
momento, è presente Mu, la mente, tutte le cose e nessuna cosa.
Nell’istante in cui si penetra veramente il koan, cosa viene messo
dove? In quel momento senza tempo, cosa esiste?
Ho provato a rispondere ad alcune
delle critiche sollevate contro la pratica del koan zen.
Considerando queste critiche, mi viene in mente un’analogia. Una
volta incontrai una studentessa molto in disaccordo con un suo
professore universitario, un’autorità in materia di cultura
cinese. La studentessa, essendo cresciuta a Taiwan, conosceva da
vicino i cinesi, mentre il professore – la cosiddetta autorità –
non era mai stato in Cina.
Per quanti libri tu abbia letto, se
non sei mai stato in un luogo, non puoi conoscerlo. È solo
trovandosi lì che si ha un assaggio vero, grazie alle immagini, i
suoni, gli odori ecc. Ma se la visita è breve, l’esperienza viene
facilmente alterata dal confronto con la propria terra e la
propria cultura. Solo dopo aver vissuto in un posto per vari anni,
si incomincia a conoscerlo.
Lo stesso accade con la pratica del
koan. Essa non può essere compresa concettualmente, perché il suo
scopo non è altro che quello di portarti al di là della mente
concettuale. Similmente, se viene praticata solo per un breve
periodo o in modo superficiale, si avrà ogni sorta di confronto o
critica. Non si è ancora in grado, come afferma Mumonkan, “di
emanciparsi dalle conoscenze passate”. Ma quando si affrontano i
koan in anni di addestramento, ovviamente è tutta un’altra storia.
Lo zen viene considerato una via
molto pratica e diretta. Una cosa viene utilizzata perché
funziona. Per questo motivo moltissime persone affrontano la
pratica del koan per anni interi. Sin da quando Joshu pronunciò
per la prima volta “Mu”, i koan hanno portato un infinito numero
di persone, in varie epoche e culture, al risveglio.
Ciò che è essenziale comprendere è
che non è importante solo la pratica in sé, ma anche il modo con
cui la si affronta. Cioè, la persona fa la pratica.
Fondamentalmente, tutto dipende dall’aspirazione dello studente e,
fino a un certo grado, dallo stimolo fornito dall’insegnante. Il
koan deve essere reso vivo, bisogna lasciarlo diventare il centro
degli interrogativi naturali di una persona.
Il mondo è una trama
meravigliosamente vasta di sentieri spirituali e tradizioni
religiose. Così come il buddismo zen non è la via per ognuno, allo
stesso modo la pratica del koan non è l’unica via per i praticanti
zen. In realtà, come ha detto scherzando uno studente, questa è
probabilmente una buona cosa, altrimenti la fila di persone in
attesa per la dokusan sarebbe
interminabile.
La mia esperienza (limitata) di
diciassette anni di lavoro con e sui koan mi ha insegnato che essi
possiedono un vasto potenziale, ma che possono avere dei difetti
se usati impropriamente. La gente trascorre gran parte della
propria vita nell’ombra; talvolta, invece di guardare l’oggetto
che ostruisce la luce, si sofferma a considerarne la forma, la
dimensione, l’intensità… Lavorare su un koan permette di aprire
gli occhi alla luna della verità. Anche se in qualche caso la luna
è oscurata dalle nubi dell’illusione, sta sempre splendendo.
Cos’è un koan? Solo tu puoi trovare
la tua risposta a questa domanda. |